Avere trent’anni e farsene una ragione

asds
Succede che uno prima o poi va in crisi. Alla soglia dei trent anni è quasi inevitabile, principalmente per due motivi: perchè sopraggiunge la fatidica maturità ( certo è che conosco una sfilza di trentenni altrettanto immaturi ) e perchè inizi a domandarti che cosa c’è di veramente certo nella tua vita. Sarà che è estate e dopo un pò di mare inzio a rompermi vagamente i maroni di questa situazione di stallo ma stamattina non riesco a smettere di rifletterci. Cacchio, a trent’anni uno dovrebbe avere almeno uno straccio di lavoro sicuro, possibilmente una vaga indipendenza economica, magari vivere da solo e se proprio dobbiamo esagerare avere un rappporto più o meno stabile. Per lo meno avere qualcuno con cui poter condividere un punto di vista, fare una chiacchiera e potersi fidare il giusto. Ok, non sono certo quella che crede nella faccenda dell’anima gemella e da quando il tempo delle mele è finito tutto ciò che mi rimane e che mi tengo ben stretto è il salvifico cinismo, resto però dell’opinione che in giro di sostanza c’è ben poca e che la curiosità nel conoscere persone nuove inizia a scarseggiare. Insomma inizi a chiederti se ne vale la pena e la risposta nella maggior parte dei casi è No. Ma non è questo che mi fa arrovellare il cervello, per fortuna. Avendo diversi interessi, un forte spirito di indipendenza, essendo abbastanza disillusa mi preme molto di più avere delle soddisfazioni in altri campi. Fondamentalmente mi interessa affermarmi come individuo, come donna e poter contare solo su me stessa. e qui entriamo nel vivo del ragionamento. Riuscire a prendere decisioni giuste per quanto riguarda studio e lavoro diventa necessario per fa ciò che questo accada. Ma c’è un però. Il mio percorso in questo caso è stato strano e tormentato, ho prima lavorato, poi studiato, poi lavorato e studiato e via dicendo. Ho fatto veramente dei lavori del cacchio: promoter, segretaria presso un commercialista ( non capisco un accidente di economia e bilanci ), baby sitter ( in questo caso me la cavo ancora meno ) cameriera/barista ( è un settore già più ionteressante ) ma mai realmente qualcosa che mi facesse esprimere, che mi stimolasse e facesse crescere. Ti dicono che per imparare verrai sfruttato, quindi si tratta di scegliere tra l essere sfruttato e avere dei soldi sicuri facendo un lavoro di merda. Bella scelta. A quanto pare in Italia funziona così e nemmeno ho deciso io di vivere qui, ma ormai è fatta e mi devo adeguare. Capire cosa si vuole essere e già abbastanza faticoso in più non è detto che sia realmente fattibile. Fare qualcosa che non ti piace per poter far qualcosa di interessante. Mi sembra questo ormai il giusto compromesso. Ti illudi che con la laurea le cose cambiano, ma poi ti accorgi che quando parli della triennale ti ridono in faccia (se poi la triennale è in Dams la risate è assicurata) così ci pensi, ti incazzi e decidi di imbarcarti nella specialistica. Ovviamente cambi facoltà perchè ti sei accorto anche tu di come vanno le cose. Ora. Ora il mio ex datore di lavoro, il commercialista, sarebbe contento visto che mi tocca passare il mio tempo libero su libri di statistica e capire come le teorie sociologiche influiscono sulla pubblica opinione. Ma non c’è tempo da perdere e non ho nemmeno voglia di lamentarmi. Ho imparato in questi anni di burrascosa vita universitaria che l’elasticità mentale è un talento che i libri non insegnato ma fa comunque parecchio comodo, così mi armo di pazienza e mi costringo a non perdermi d’animo. In fin dei conti ricominciare, cercare sempre cose stimolanti inizia a piacermi non poco. In fin dei conti avere trent’anni, essere consapevoli e possedere un certo spirito critico non è poi così male. E magari questa volta potrei essere sulla giusta strada.

Pubblicato il luglio 16, 2013, in Uncategorized con tag , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 2 commenti.

  1. Un ritratto di molti di noi. Me incluso. E non so se la cosa mi piace o mi spaventa. Il fatto di aver raggiunto la consapevolezza del se, o una sorta di spirito critico, o una maturità di ritorno rispetto ad un acerbo che ha rischiato di passare direttamente al marcio, non risolve il problema dell’incapacità di condividere, che oggi più che in passato ci riguarda. Io li vedo i miei compagni d’età e mi paiono fotogrammi riusati ed abusati dallo stesso inetto regista. Non hanno niente, non perchè non l’abbiano mai avuto, ma solo perchè hanno perso e continuano a perdere gli anni migliori per svuotarsi. Una volta mi parlavano dell’ultimo libro letto, o film guardato, o del benchè minimo progetto per migliorare una giornata noiosa. Si era vivi, così vivi che il bere o il drogarsi rappresentavano solo un corollario delle cose da fare e non la ragion d’essere di tutta la faccenda. Oggi sono quello che bevono, e che fumano, e che ingurgitano e che s’iniettano. Oggi fatico a trovare una risposta che non sia un rumore quando domando: Qual’è l’ultimo ragionamento che hai fatto?. Penserai, forse è giunto il tempo di lasciar perdere certi gruppi, ma come si può lasciar perdere il già perso in una sorta di perdizione collettiva? Sarebbe come spargere mele bacate in un campo con l’illusione che ne nasca un bosco, quando è quasi certo che diverrà un cimitero di torsoli. Anch’io ho lavorato nel commerciale, ho venduto cose che non avrei mai comprato, ho rifilato certe inutilità che strappano solo sorrisi compulsivi e piaceri usa e getta. Beh ti assicuro è molto più facile vendere un gingillo ad uno sconosciuto che regalare un idea ad un amico. Budapest a 2 € il 15 di settembre da Orio al Serio. Significa rinunciare a una birra oggi per fartene due domani in Ungheria. Macchè. Li vedo bersi interi pacchetti vacanze. Forse dovrebbero responsabilizzarsi, ma quando han provato ad intraprendere un lavoro, da pecore si sono trasformati in cani, che alla fine era meglio pascolare in branco per un solo pastore che mettersi singolarmente al guinzaglio di un aguzzino. Di umanità, una sembianza almeno, nemmeno l’ombra. No, un lavoro non basterebbe. Forse ci vorrebbe una guerra. Forse se costretti a lottare per sopravvivere, aspirerebbero a qualcosa di più, come vivere. Una volta i governi costruivano i muri, i confini,le prigioni e le giovani generazioni lottavano per abbatterli scoprendo nella lotta la solidarietà, l’eroismo, l’incanto del sociale. A noi invece , figli degli anni 80, i governi di allora ci diedero carta bianca: – Potete fare ciò che volete, siete liberi di farlo – ci dissero, tanto che la prima cosa che ci venne in mente di fare fu di costruirci dei muri. E già! Non più limiti imposti, ma autoimposizione di limiti. Come urlava Carmelo Bene: Chi sceglie la libertà, sceglie il deserto! Niente di più amaramente vero. Per fortuna rimane lo studio. Lo studio continuo e non solamente strumentale al pezzo di carta. Lo studio che ti solleva da terra e che il sottoscritto, come te, ha riscoperto in tale “maturo” periodo, a trent’anni dalla nascita. D’altronde, in questa Bologna tartara, tra i tanti paradossi del caso, se è vero, da una parte, che farsi una cultura rende soli tra la moltitudine di fulminati, dall’altra t’aiuta a scovare i pochi illuminati rimasti. Quelli che il black out dev’esserci solo per eccesso di correnti (di pensiero) e non per mancanza d’energia cerebrale. Continua scrivere. Continuerò a leggerti.

    • ..se il tuo commento mi lascia spiazzata da un lato (scrivi bene e dici cose giuste) dall altro fa sorgere altri spunti di riflessione che sanno maledettemente di amaro. L’ apatia che vedo intorno è altrettanto amara. Io parlo di disillusione e mai di apatia. Grazie per il tuo commento

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